11/07/08
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro della Giustizia
Al Presidente del Tribunale di Lecce
Al Presidente del CSM
Al Presidente della sez. distrett. ANM dott. Valerio Fracassi
Alla Stampa
Oggetto: giustizia per le Vittime
Con vero sconcerto leggo sul Quotidiano di Puglia del 10/07/2008 la replica del presidente della sezione distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati, Valerio Fracassi, alle affermazioni dell’avv. Gianmarco Cesari, che nell’udienza per l’uccisione di Marco Presicce parlava non solo a nome della famiglia Presicce ma anche a nome dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada: un’Associazione diffusa con 106 sedi sul territorio nazionale e dal 2003 unica associazione di vittime della strada iscritta con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Registro Nazionale delle Associazioni di promozione sociale, e perciò legittimata alla tutela degli interessi sociali e collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall’Associazione – “fermare la strage stradale e dare giustizia ai superstiti” –.
Il presidente Valerio Fracassi avrebbe, pertanto, dovuto prestare seria attenzione a quanto detto dal legale dell’AIFVS, anziché affermare che si è lasciato andare a considerazioni inadeguate.
Ciò che è inadeguato, invece, è proprio il modo con cui i magistrati amministrano la legge, permettendosi di sovvertire la stessa volontà del legislatore.
Infatti il potere discrezionale affidato ai giudici dalla legge (art. 132 c.p.) deve essere esercitato entro i parametri indicati dall’art. 133 del c.p. che li obbliga a valutare la gravità del danno, il grado della colpa ed il comportamento del reo prima, durante e dopo, al fine di applicare una “pena congrua”, (art. 444 c.p.p.), e che sia anche rieducativa (art. 27 Cost.), cioè finalizzata ad incrementare il senso di responsabilità in chi ha compiuto un reato. Ci chiediamo come possa essere rieducativa una pena non solo non espiata ma irrogata in modo “burocratico” e discriminante, cioè sbrigativo e di palese favore verso l’imputato, non tenendo conto né della finalità del processo, che è ricerca della verità e riaffermazione dello stato di diritto, nè dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., il cui riferimento alla gravità del danno obbliga il giudice a tener conto della vita e della salute distrutte o danneggiate delle vittime e dei familiari. Ma, nei casi che ci riguardano, l’inadeguata amministrazione della giustizia ad opera dei magistrati non si ferma all’applicazione dell’art. 133 del c.p., bensì continua con l’applicazione dell’art. 589 del c.p. In tale articolo il legislatore ha previsto un minimo ed un massimo di pena per permettere certamente al magistrato di adeguarla alla gravità del reato, comprensiva – lo ripetiamo – del grado della colpa, della gravità del danno e del comportamento del reo. Tali elementi debbono essere valutati anche nel patteggiamento, per stabilire se esso possa essere concesso e se possa essere sospesa la pena e a quali condizioni. Ma i magistrati, nonostante il dettato della legge, hanno sempre preferito partire dal minimo edittale nell’applicazione della pena, con ciò annullando la possibilità di differenziare il grado della colpa, che in tal modo viene sempre considerata lieve, e sostituendosi così anche alla volontà del legislatore. Vorremmo sapere se il legislatore ha sbagliato nello stabilire un minimo ed un massimo di pena, o se ci sono delle disposizioni che obbligano i giudici ad utilizzare solo il minimo della pena ed a sospenderla sempre!
Al dott. Fracassi ed a tutte le autorità in indirizzo chiediamo, pertanto, che si ponga fine, per quanto ci riguarda, ad un’amministrazione della giustizia che, sottovalutando il reato ed il danno, delegittima se stessa, offende le vittime ed i familiari, diffonde nella società il messaggio che si può continuare a delinquere impunemente. Era questa la sollecitazione che il dott. Fracassi doveva cogliere nelle parole dell’avv. dell’AIFVS, anziché ergersi a difensore d’ufficio: una sollecitazione che obbliga ad un approfondimento culturale ed etico, a superare la supponenza di un sistema chiuso che, esercitato nel nome del popolo, non ne ascolta le ragioni. E qui siamo tutte le vittime ed i familiari, un esercito, che chiediamo di non trasformare la discrezionalità in arbitrio, di avere pari dignità processuale rispetto all’imputato, per non continuare a violare non solo i diritti delle vittime ma anche lo stesso articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Smettiamola con la discriminazione e con la sottovalutazione del reato e del danno! È il punto di vista delle vittime, dal quale bisogna partire per migliorare la giustizia e la civiltà.
dott.ssa Giuseppa Cassaniti Mastrojeni*
*presidente nazionale AIFVS
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