18 dicembre
2000, Roma, grande raccordo anulare: Cristiana Altobelli, Cri-Cri in
famiglia, 24 anni, 4 lingue,
occupata in una agenzia di viaggi, è a bordo dell’auto guidata dal suo
ragazzo quando una foratura la ferma: corsia di emergenza, triangolo, luci
di posizione, inutili tentativi di svitare l’ultimo bullone.
Col cellulare chiamano il padre del ragazzo
che prova anche lui senza successo; alle 2 di notte arriviamo in soccorso
il mio uomo e io, chiamati a nostra volta mentre stiamo rientrando a Roma;
parcheggio la mia auto dietro le altre, le luci lampeggianti accese anche
se tutto il tratto è bene illuminato.
Il mio compagno scende e si avvia mentre
apro il cofano per prendere il crick; è in quel momento che arriva a
velocità folle una Ritmo che invade la corsia di emergenza e uccide mia
figlia, il mio compagno e il padre del ragazzo:
il conducente non si ferma, è un guard-rail di cemento a fermarlo
500 metri dopo, ma non torna indietro a vedere cosa ha fatto.
Dirà che ha
avuto un colpo di sonno, non viene sottoposto ad esame tossicologico, non
si presenta all’interrogatorio; l’omicidio, perché di questo
si tratta, viene riportato dai giornali come un incidente, “ragazza
uccisa in un incidente stradale”; le indagini durano cinque mesi,
intanto chi ha ucciso è fuori, e tre innocenti nella bara.
Resto io – una morta vivente – a
scegliere ogni volta quale tomba visitare, su quale bara piangere.
Resto io, una madre, una compagna, a
chiedere e a urlare giustizia.
Anna Maria
Tommasi
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