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Livio: sei
stato per noi e per tutti quelli che ti hanno conosciuto la gioia, la serenità, l'amore.
Pacifista, religioso, studioso, atleta con tanta voglia di vivere, nella tua breve vita
hai donato affetto a tutti; e all'amico più piccolo di te, che avevi appena compiuto i 18
anni e potevi andare senza, hai dato quella sera del 29 giugno il tuo casco prima di farlo
salire sulla vespetta; l'unico casco, che gli ha salvato la vita, il casco che la tua
generosità non ti ha fatto tenere per te.
E' stato in via delle Sette Chiese, tornando verso le 23 dalla festa di San Pietro e
Paolo, che siete caduti quando il motorino si è piegato in curva e il cavalletto ha
strusciato sul fondo dissestato, contro i sampietrini sporgenti più di 10 centimetri; hai
battuto la testa - mentre il tuo amico, protetto dal casco, se l'è cavata con qualche
escoriazione - ma al pronto soccorso del CTO ti hanno dato 5 giorni di prognosi, mi hanno
detto che la TAC era negativa, che forse c'era una frattura occipitale ma dovevo solo
attendere, nel reparto di ortopedia dove ti avevano portato, che ti decidessi a
svegliarti.
Non ti sei svegliato più; il mattino seguente, quando nella mia disperazione ho
cominciato a urlare, è venuto un medico che si è reso conto della gravità ed ha
ripetuto la TAC registrando questa volta un'emorragia estesa; solo allora, dopo più di 12
ore dal ricovero, ti hanno portato in terapia intensiva; troppo tardi, l'edema cerebrale
è man mano peggiorato e il 10 luglio ci hai lasciato per sempre.
So che sei morto per colpa di altri, la strada male illuminata e dissestata, soprattutto
la mancata assistenza, ma il dolore ha impedito a me e agli altri tuoi cari ogni reazione;
e, peggio ancora, io vivo col peso di non avere fatto quanto forse potevo (se avessi
insistito, se avessi urlato prima) per salvarti, per averti ancora con me.
tua mamma Augusta
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