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Santino
era nato a Messina il 20 settembre 78: occhi azzurri, capelli biondi,
intelligenza pronta e un cuore aperto alla gioia, frequentava con
profitto la seconda classe del Tecnico commerciale all’Istituto
salesiano “san Luigi”.
Il 29 settembre 93, di pomeriggio, percorreva
in bici, accanto al marciapiede, la strada vicino casa; una strada larga
12 metri, a senso unico, elementi che rendono ancora più incredibile
che qualcuno, pure se su un’auto lanciata a folle velocità, possa
averlo tamponato e trascinato per diecine di metri.
Invece Santino è stato ucciso, a 15 anni appena compiuti,
proprio così.
Le sue speranze, e le nostre, sono state spezzate su
quell’asfalto dalla condotta scellerata di chi ha disprezzato, prima
che la legge, il suo diritto di vivere,
di essere felice.
“Mamma, da grande farò il giudice”.
Era il suo sogno, un sogno che oggi diventa un appello perché
chi ha avuto la sorte, che a lui è stata negata, di crescere e di
studiare, non tradisca i diritti che come giudice è chiamato a
difendere, il diritto alla verità, il diritto alla vita; e perché
rammenti che tali diritti esigono anche l’applicazione severa delle
pene, se si vuole rispettare chi ha subìto la più violenta
e irreparabile delle offese prima ancora che dare esempi o
avviare all’espiazione.
Per Santino questa giustizia non c’è stata, chi l’ha ucciso
ha avuto ancora in regalo il patteggiamento; e io continuo a chiedermi
come quei magistrati hanno potuto irridere la vita di un ragazzino che
voleva essere uno di loro.
Per gli altri Santino riposa in pace, per me vive inquieto, così
come inquieto e tormentato è il mio cuore; vorrei che la forza della
sua luminosa giovinezza e il sacrificio della sua vita spingessero
ciascuno a compiere con coraggio scelte profonde, che ogni uomo sapesse
di dover essere, prima di tutto, uomo di verità di giustizia, di pace.
Forse allora il mio piccolo giudice tornerebbe a sorridere.
la
mamma Filippa Mancinone
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