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Il 12 novembre 1997 Alex,
appena tredicenne, è stato investito mentre si recava a scuola in
bicicletta da un’auto che sopraggiungeva a forte velocità.
Nei giorni successivi la stampa ha dato ampio
risalto alla vicenda, anche
perché venivano ipotizzati gravi ritardi nei soccorsi (sembra che
l’ambulanza attrezzata sia giunta sul luogo dell’incidente dopo circa
45 minuti, nonostante le direttive ministeriali prevedano tempi massimi di
intervento compresi tra 8 e 20 minuti).
Tanto clamore per l’incidente, ma nessun
interesse per il processo: con sentenza n. 654 del 16.5.2002 il Tribunale
di Forlì ha “liquidato” l’omicidio stradale di Alex patteggiando
con il colpevole la pena di 4 mesi di reclusione, pena puramente teorica
perché è stato “naturalmente” concesso il beneficio della
sospensione condizionale.
Negli stessi giorni, sempre a Forlì, un
camionista svizzero è stato condannato a 8 mesi di reclusione per avere
offerto 50mila lire agli agenti che gli stavano contestando una
contravvenzione al Codice della strada; e un sacerdote di 83 anni, reo di
avere rimosso un altare ritenuto di interesse artistico, è stato
condannato a 4 mesi di reclusione.
La morale sembra che con quanto si paga per
spostare un pezzo di pietra si può uccidere un tredicenne e che un
tentativo di corruzione offre lo stesso rischio che ucciderne due.
La stampa locale ha totalmente ignorato il
processo di Alex ma ha dato ampio risalto ai processi che riguardavano il
camionista e il sacerdote: evidentemente
l’uccisione di un bambino è ritenuta un reato minore, della cui
valutazione non importa niente a nessuno: ma c’è davvero da chiedersi
se è questa la società nella quale vogliamo vivere – e peggio ancora
morire.
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