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cassaniti.jpg«BASTA CON L’ALTALENA GIUDIZIARIA: L’OMICIDIO STRADALE SIA SOLO COLPOSO»
13/03/2015  A chiederlo è Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell'Associazione familiari e vittime della strada commentando la sentenza della Cassazione che non ha riconosciuto il dolo nel caso di Ilir Beti, l'imprenditore albanese che nel 2011 si mise al volante ubriaco e uccise quattro giovani francesi
 
«BASTA CON L’ALTALENA GIUDIZIARIA: L’OMICIDIO STRADALE SIA SOLO COLPOSO» FC RACCONTA
La proposta Lupi: introdurre l'omicidio stradale
«Il reato di omicidio stradale deve essere solo colposo e punito con due livelli di colpa: uno lieve e uno aggravata nel caso di un comportamento irresponsabile come chi si mette in auto ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti». A chiederlo è la presidente dell’Associazione dei familiari e vittime della strada Giuseppa Cassaniti Mastrojeni dopo la sentenza della Corte di Cassazione che martedì scorso ha annullato con rinvio la maxi condanna a 21 anni di reclusione inflitta a Ilir Beti, l'imprenditore albanese che il 13 agosto 2011 imboccò la A26 contromano e la percorse per 30 chilometri per dimostrare la sua abilità al volante. Nell'impatto con il suo Suv morirono quattro ragazzi francesi. Il caso ritorna ora in corte d’Appello per essere riesaminato. 
 
«Questa altalena giudiziaria è un calvario doloroso per i familiari delle vittime, un supplizio aggiuntivo»,  dice Mastrojeni, «bisogna valutare caso per caso, la pena si può anche sospendere in caso di colpa lieve ma deve essere commisurata alla gravità del danno prodotto e della colpa che deve essere espiata per intero. Se c’è la colpa bisogna anche assumersi la responsabilità di quanto è successo. L’omicidio stradale è già previsto dall’articolo 589 del Codice penale e deve avere la stessa connotazione per tutti i casi: non può essere un po’ doloso e un po’ colposo. Perché quando viene riconosciuto come dolo eventuale il rischio, come è successo in questo caso, è che si arrivi in Cassazione, venga smontato tutto e il processo è da rifare di nuovo». 
 
Nel caso di Beti, il verdetto è stato emesso dalla I sezione penale presieduta da Renato Cortese che ha accolto il ricorso dell’imprenditore  - difeso dal professor Franco Coppi - contro la condanna a 21 anni inflittagli dalla corte d'Assise d'Appello di Torino il 20 giugno 2013. Beti la sera del 13 agosto 2011 era ubriaco, era già stato cacciato da un locale pubblico e aveva accanto a sé una ragazza addormentata, quando decise di imboccare contromano la A26 per dimostrare a sé stesso la sua abilità alla guida nello schivare i veicoli in marcia. Per i quattro ragazzi francesi non ci nulla da fare e rimase seriamente ferito anche un altro loro compagno di viaggio.
Secondo i giudici piemontesi, questo modo di guidare era doloso, perché andando contromano era inevitabile mettere a rischio l'incolumità altrui. Ma la Cassazione è stata di diverso avviso e ha seguito l'indicazione del sostituto procuratore generale Gabriele Mazzotta, che aveva chiesto l'annullamento con rinvio della condanna di Beti. Ad avviso di Mazzotta «la categoria della “colpa” non è residuale nel diritto e se applicata in un caso così estremo avrebbe consentito di infliggere la stessa condanna comminata all'imputato con tutte le aggravanti possibili, senza forzare la categoria del dolo. Il ricorso della difesa dell'imputato è da condividere - ha proseguito il pg Mazzotta nella sua requisitoria - in quanto il guidatore voleva procedere contromano per dare prova a sè stesso della sua destrezza e non aveva considerato che gli altri guidatori, che procedevano “correttamente” nella loro marcia avrebbero potuto perdere il controllo dei loro veicoli». 
 
Dello stesso tenore è stata l'arringa del professor Franco Coppi, difensore di Beti: «Occorre fare molta attenzione quando si fanno le ricostruzioni dei passaggi mentali di un soggetto ubriaco, perché risulta difficile attribuire il dolo, e quindi la volontarietà, a chi si trova in simili condizioni» Secondo Coppi si tratta di una «condotta imperita e negligente che sottrae l'imputato all'area del dolo e lo consegna all'area della “colpa”»
 
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